Questa guida è aggiornata periodicamente
Noi di CryptoBooks monitoriamo con molta attenzione tutte le novità relative alle nuove disposizione in materia. Manterremo sempre aggiornata questa guida per tenerti sempre aggiornato e sempre conforme alle disposizioni.
27 aprile 2022 – Prima versione
25 Maggio 2022 – Versione corrente
La guida in generale
Ad oggi non esiste una normativa che regoli la dichiarazione e la tassazione delle criptovalute in Italia. Intesa come una normativa che sia pensata e ragionata per dare un perimetro preciso a tutti i casi d’uso delle transazioni in valute virtuali.
Questo vuoto normativo ha portato vari fiscalisti ad avanzare ipotesi diverse riguardo cosa sia tassato e cosa no, e come si debbano dichiarare le proprie criptovalute.
In questa guida vediamo insieme quali sono le principali linee interpretative proposte dai fiscalisti italiani e come, nonostante l’incertezza normativa, sia possibile mettersi al riparo da eventuali problemi futuri con il fisco.
La tassazione delle criptovalute in Italia
I principali criteri d’interpretazione delle normative sono tre:
- L’assimilazione delle criptovalute a valute estere;
- L’incompatibilità delle criptovalute con le norme attuali;
- La non tassabilità.
Qualunque sia il metodo interpretativo che si ritiene più corretto è comunque consigliato di tenere sempre traccia delle transazioni effettuate con le criptovalute, attraverso la conservazione di documenti che provano questi movimenti, o come si ritiene sia più opportuno.
Tenere traccia di tutte le transazioni non è mai stato così semplice
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L’assimilazione delle criptovalute a valute estere
In questo caso la linea interpretative si poggia su quanto scritto dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 72/E del 2016, ulteriormente ribadito con la risposta ad interpello n. 788 del 2021. Partendo dalla presunzione che le valute virtuali siano equiparabili alle valute estere, l’Agenzia delle Entrate le include tra le attività finanziarie di natura estera e pertanto soggette alla disciplina del monitoraggio fiscale (quadro RW) e a quella dell’imposizione fiscale quali “redditi diversi” (quadro RT).
In base a questo, sono quindi soggetti a tassazione tutte le plusvalenze generate da individui che durante il periodo d’imposta abbiano detenuto un valore superiore a € 51.645,69, calcolato secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, per almeno sette giorni lavorativi consecutivi.
Esempi in cui i ricavi non sono tassabili:
- Detengo un controvalore complessivo di circa € 60.000 dal lunedì 4 aprile 2022 a lunedì 11 aprile 2022, facendo riferimento al cambio all’inizio del periodo d’imposta. Questi valori non saranno tassabili in quanto i giorni lavorativi vanno contati dal lunedì al venerdì. Perciò, in questo caso sono passati 6 giorni lavorativi.
- Detengo un controvalore complessivo di circa € 45.000 dal lunedì 4 aprile 2022 a mercoledì 13 aprile 2022. Questi valori non saranno tassabili in quanto il controvalore è inferiore al limite di € 51.645,69.
- Detengo un controvalore complessivo di circa € 100.000 dal lunedì 4 aprile 2022 a giovedì 14 aprile 2022, ma le medesime criptovalute, se calcolate al prezzo che avevano il 01/01/22 avevano un controvalore di € 50.000. Questi valori non saranno tassabili in quanto il controvalore all’inizio del periodo di riferimento è inferiore al limite di € 51.645,69.
Questa linea interpretativa nasce direttamente dalle risposte date a vari interpelli dall’Agenzia delle Entrate in questi anni. Purtroppo però questo tipo di fonti non hanno valenza di legge e potrebbero essere contraddette in futuro da norme che vadano a regolamentare direttamente la fiscalità delle criptovalute.
L’incompatibilità delle criptovalute con lo status di valuta estera
La seconda linea interpretativa considera le risposte date agli interpelli dall’AdE come incompatibili con la natura stessa delle criptovalute.
Le criptovalute avrebbero infatti peculiarità tali da non essere assimilabili a valute estere, tant’è vero che la V direttiva antiriciclaggio dell’Unione Europea del 30 maggio 2018, dice espressamente che le valute virtuali sono “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta“. Concetto ulteriormente richiamato dall’ordinamento italiano all’articolo 2 del Testo Unico del 31/03/1998 n.148, in cui è scritto che le valute estere sono:
a) i biglietti di banca o di Stato esteri aventi corso legale; b) i titoli di credito, che servono per effettuare pagamenti, estinguibili in monete aventi corso legale all’estero o in ECU; c) i titoli di credito di natura obbligazionaria in scadenza entro un termine non superiore a sei mesi, estinguibili all’estero e denominati in monete aventi corso legale all’estero o in ECU; d) i crediti liquidi ed esigibili derivanti da conti aperti presso le banche od altri intermediari finanziari estinguibili in monete aventi corso legale all’estero o in ECU.
In considerazione di questo, la seconda linea interpretativa ritiene che che gli eventuali proventi da operazioni in criptovalute non dovrebbero essere assoggettati all’articolo 67 c-quater del TUIR, che regolamenta i guadagni da valute estere, facendo di conseguenza decadere anche il limite dei € 51.645,69 a cui le operazioni in tali valute sono soggette, bensì troverebbe applicazione l’articolo 67 c-quinquies.
Essendo questa, come le altre, un’interpretazione, potrebbe non essere completamente corretta e anzi potrebbe essere contraddetta in futuro quando si avrà una normativa chiara. Come vedremo in seguito però, proprio per dimostrare la propria buona fede davanti ad un controllo fiscale, anche seguendo questa interpretazione potrebbe essere opportuno compilare comunque il quadro RW, come previsto dalle istruzioni del modello redditi e confermato dalla sentenza del TAR del Lazio n. 1077 del 27 gennaio 2020.
L’incompatibilità delle criptovalute con le norme attuali
Sulla falsariga di quanto espresso nell’interpretazione precedente, proprio per l’assenza di una normativa specifica riferita alle valute virtuali che le identifichi come attività finanziarie estere, alcuni fiscalisti ritengono che le criptovalute non solo non siano soggette ad imposizione fiscale, ma non dovrebbero essere neanche inserite nel quadro RW, perchè tale quadro, in base al decreto legge n. 167/90 è destinato a rappresentare gli investimenti all’estero, ovvero attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.
A parziale supporto di questa tesi, dobbiamo citare la presenza al vaglio del Parlamento di 2 disegni di legge che hanno l’intento di normare le valute virtuali. La domanda che sorge spontanea infatti è: per quale motivo è necessaria una nuova legge? Allora ha ragione chi dice che la legge attuale non è adeguata a regolamentare le valute virtuali? A posteri l’ardua sentenza, come si suol dire. Senz’altro però anche questo è un indizio importante, e consultare quei disegni di legge potrebbe darci delle indicazioni sulla direzione che la normativa potrebbe prendere nel prossimo futuro.
Sì, le criptovalute vanno dichiarate
Qualora si decidesse di seguire il secondo o il terzo criterio d’interpretazione della normativa, per tutti i contribuenti residenti in Italia, potrebbe essere opportuno ottemperare all’obbligo di monitoraggio fiscale dichiarando, attraverso il modulo RW della propria dichiarazione dei redditi, il controvalore di criptovalute possedute. La dichiarazione del possesso di criptovalute non implica infatti di per sé nessuna imposizione fiscale
Per maggiore chiarezza occorre sottolineare che stando alle indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, l’obbligo scatta immediatamente, senza nessun limite minimo di patrimonio detenuto in cripto. La soglia dei 51.645,69 riguarda eventualmente la dichiarazione delle plusvalenze, non la dichiarazione RW obbligatoria ai fini del monitoraggio fiscale. Per chi vuole mettersi al riparo dal fisco, la compilazione del quadro RW scatta dal primo euro di cripto nel proprio wallet.
Diversa è la questione che riguarda le plusvalenze (capital gain) generate dalla compravendita o dall’impiego di criptovalute. Tale obbligo scatta nel momento in cui si decide di seguire l’interpretazione che assimila le valute virtuali alle valute estere e pertanto, come spiegato in precedenza, se si è superata la soglia di “detenzione” dei 51.645,69 per 7 giorni.
Ancora diverso il caso in cui si decidesse di non assimilare le cripto a valute estere, in tal caso infatti i proventi andranno sempre dichiarati indipendentemente dal controvalore complessivo delle proprie criptovalute.
I guadagni, seguendo la prima linea interpretativa, vanno inseriti nel quadro RT della dichiarazione dei redditi indicando:
- il controvalore in euro complessivo delle valute virtuali vendute nel corso dell’anno, il cambio da utilizzare è quello del momento della cessione;
- il controvalore in euro complessivo delle valute virtuali acquistate, utilizzando il metodo “LIFO” (last in, first out).
Il prezzo di acquisto delle criptovalute, se non documentabile, può essere calcolato. Come indicato dall’AdE in questi casi per calcolare il prezzo di acquisto è necessario dividere il costo complessivo dell’acquisto per il numero di criptovalute ricevute.
Questi valori andranno immessi nella sezione dedicata alle plusvalenze soggette all’imposta sostitutiva al 26%. La differenza, in caso sia positiva, sarà quindi soggetta a questa tassazione.
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Come inserire le criptovalute nella dichiarazione dei redditi
Il quadro RW
Nell’Interpello dell’AE 788/2021 viene indicato il metodo da applicare secondo l’Agenzia delle Entrate per la compilazione del Quadro RW del Modello Redditi – Persone Fisiche. Questo si discosta solo in un punto, indicato più avanti, dal metodo alternativo individuato dai fiscalisti che non assimilano le criptovalute a valute estere.
Le istruzioni per la compilazione dei quadri RW dall’ 1 al 5 per le criptovalute prevedono di indicare:
- nella colonna 1, il codice che contraddistingue a che titolo i beni sono detenuti:
- “1” proprietà;
- “2” usufrutto;
- “3” nuda proprietà;
- “4” altro (altro diritto reale, beneficiario di trust, ecc.).
- la colonna 2 non deve essere compilata;
- nella colonna 3 “codice individuazione bene” deve essere inserito, trattandosi di criptovalute, il codice 14 (Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali);
- nella colonna 4 “Codice Paese estero” deve essere lasciata vuota;
- nella colonna 5 deve essere indicata la quota di possesso (in percentuale) dell’investimento situato all’estero;
- nella colonna 6 deve essere indicato il codice che contraddistingue il criterio di determinazione del valore. Qui abbiamo due pareri diversi, come indicato prima. I metodi che possono essere seguiti prevedono di:
- Inserire il codice “1” – valore di mercato – come specificato nell’Interpello dell’AE 788/2021 “Ai fini della compilazione di tale quadro, il controvalore in euro della valuta virtuale, detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento, deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale.”.
- Inserire il codice “4” – costo di acquisto – in quanto non sempre è possibile determinare il valore di mercato delle proprie criptovalute.
- nella colonna 7, il valore all’inizio del periodo d’imposta o al primo giorno di detenzione delle criptovalute;
- nella colonna 8, il valore al termine del periodo di imposta ovvero al termine del periodo di detenzione dell’attività.
- la colonna 9 non deve essere compilata;
- le colonne dalla 10 alla 17 e la colonna 19 essendo relative all’IVAFE non vanno compilato in quanto questa non è dovuta per le criptovalute;
- nella colonna 18 si indica:
- il codice 5 se l’attività estera non ha prodotto redditi durante l’anno; oppure
- il codice 4 nel caso in cui sia rilevata una plusvalenza da inserire nel quadro RT;
- la colonna 20 deve essere barrata per dichiarare che la compilazione è solo ai fini di monitoraggio, altrimenti il software calcolerebbe automaticamente l’IVAFE;
- la colonna 21 non va compilata;
- Le colonne dalla 22 alla 24 vanno compilate se l’attività estera è cointestata o vi sono soggetti delegati a operare. In tal caso, deve essere indicato il codice fiscale degli altri soggetti obbligati al monitoraggio fiscale. La colonna 24 va barrata quando questi soggetti sono più di due.
Il quadro RT e il Calcolo del Capital Gain
Entrambi i metodi di dichiarazione prevedono che i guadagni, o le perdite, in criptovalute vengano calcolati tramite il metodo L.I.F.O. (Last In First Out), perciò si considerano come venduti gli ultimi valori che sono stati percepiti.
Esempio:
Supponiamo che il 10/01/n ho acquistato 1 BTC (cambio €/BTC = €55.000) e il 20/01/n ne ho acquistati altri 1,5 (valore complessivo € 90.000, cambio €/BTC = €60.000). Se il 30/01/n vendo 1 BTC, seguendo il metodo L.I.F.O., considero come venduti una parte dei BTC acquistati il 20/01/2021.
I guadagni riportati sono soggetti all’imposta sostitutiva del 26%.
Supponiamo che il 30/01/n il BTC sia stato venduto al prezzo di € 65.000. Si avrebbe un guadagno di € 5.000 e quindi sarebbero da versare imposte per € 1.300.
Se si segue come metodo di dichiarazione quello che prevede l’assimilazione delle criptovalute a valute estere c’è anche la possibilità di riportare le perdite (minusvalenze). Se invece si segue l’interpretazione che sostiene l’incompatibilità delle crypto con le valute estere, si deve far riferimento all’articolo del TUIR 67 c-quinquies, perciò le minusvalenze non sarebbero riportabili in quanto le criptovalute non sono assimilate a valute estere.
Concorrono al calcolo della giacenza tutti i valori posseduti dal dichiarante all’estero, non solo criptovalute ma anche valute estere (i.e. un conto in UK in £ deve essere riportato in euro al valore del 1 gennaio e si sommerà agli altri valori per il calcolo della giacenza).
Inoltre, tutti i possedimenti del dichiarante, anche quelli a cui momentaneamente non può attingere, sono ritenuti concorrenti al calcolo (i.e. valori in staking). Quest’ultimo punto sempre secondo la modalità di trattamento descritta nei vari interpelli.
Termine per la dichiarazione delle criptovalute
Le criptovalute, qualunque sia il metodo di dichiarazione che si ritiene più opportuno seguire, devono essere dichiarate tramite il Modello Redditi – Persone Fisiche nel Quadro RW.
Questo può essere presentato in forma cartaceo tra il 2 maggio e il 30 giugno presso gli uffici di Poste Italiane S.p.A., mentre se presentato per via telematica il limite è stabilito al 30 novembre dell’anno successivo. Perciò se si deve presentare il Modello Redditi – Persone Fisiche relativo all’anno 2021 le date di scadenza citate si riferiscono all’anno 2022. Nel caso in cui uno di questi termini scadesse in concomitanza di un giorno festivo il limite è prorogato d’ufficio al primo giorno feriale successivo.
Cosa si rischia se non si dichiarano le criptovalute
Superato il limite di tempo per la dichiarazione del quadro RW l’individuo può comunque presentare il monitoraggio ma sarà soggetto a sanzioni amministrative. Queste variano a seconda di quando il contribuente invia l’integrazione alla dichiarazione dei redditi contenente il quadro RW.
Gli importi indicati della Tabella 1 sono riferiti a quei soggetti che tramite ravvedimento operoso invieranno il monitoraggio fiscale tramite quadro RW in modo spontaneo.
Tabella 1
Momento dell’integrazione | Sanzione |
Entro 90 giorni dal termine | € 28,67 |
Oltre 90 giorni, con attività in paesi white list | 0,38% degli importi non dichiarati |
Oltre 90 giorni, con attività in paesi black list | 0,75% degli importi non dichiarati |
In caso di ritardata o errata (nei due casi le sanzioni si equivalgono) presentazione del quadro RW sono invece previste delle sanzioni specifiche, indicate nella Tabella 2, alle quali sono soggetti coloro che sanano le loro irregolarità in maniera non spontanea.
Tabella 2
Momento dell’integrazione | Sanzione |
Entro 90 giorni dal termine | € 258 |
Oltre 90 giorni, con attività in paesi white list | Dal 3% al 15% degli importi non dichiarati |
Oltre 90 giorni, con attività in paesi black list | Dal 6% al 30% degli importi non dichiarati |
Cosa si rischia se non si pagano le imposte sulle criptovalute
Nel caso in cui si compili il quadro RT ma non si effettui il versamento dell’imposta si è sottoposti a ulteriori sanzioni.
Queste sono regolate in base al ritardo con il quale le imposte vengono versate e sono:
- ritardi fino a 14 gg: sanzione di 1/15 dell’importo non versato per giorno;
- ritardi tra 15 e 90 gg: sanzione del 15% dell’importo non versato;
- ritardi superiori a 90 gg: sanzione ordinaria del 30% dell’importo non versato.
Le sanzioni del 15% e 30% sono riducibili attraverso il ravvedimento operoso in funzione alla tempestività con cui il contribuente attua la regolarizzazione.
Come sanare le proprie dichiarazioni passate
Il ravvedimento operoso è lo strumento tramite il quale tutti i contribuenti possono intervenire spontaneamente sulla loro posizione nei confronti del Fisco andando a versare quanto non precedentemente corrisposto.
Attraverso il ravvedimento si ha una riduzione delle sanzioni, inversamente proporzionale al tempo. Le sanzioni applicate vanno da un minimo dello 0,1% giornaliero, in caso di ravvedimento operoso effettuato entro 14 giorni dalla scadenza, al 5% nel caso più tardivo di ravvedimento operoso.
Oltre alla percentuale definita dal tipo di ravvedimento operoso che si va a compiere, andrà sempre versata un’ulteriore sanzione, dal 01.01.2022 pari all’1,25%, che rappresenta l’interesse al tasso legale.
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Come calcolare gli importi da dichiarare
Mining
Secondo il metodo di dichiarazione che assimila le criptovalute a valute estere, esistono due modi per tassare i proventi derivanti dall’attività di mining.
Per determinare la corretta tassazione bisogna prima definire se questa attività è svolta in modo occasionale o se rappresenta un’attività economica.
Nel primo caso i proventi derivanti da questa attività andranno ad aumentare la giacenza, e solo al superamento del limite di euro 51.645,69 per 7 giorni lavorativi consecutivi scatterà l’imponibilità dei ricavi all’imposta sostitutiva del 26%.
Nel secondo caso l’attività di mining è ritenuta un’attività imprenditoriale. Questo metodo di tassazione è lo stesso individuato dai nostri professionisti.
Quando il mining viene ritenuto un’attività imprenditoriale, i redditi che ne scaturiscono sono da considerare redditi di impresa. Perciò, chi esercita questa attività è da considerarsi un imprenditore ai sensi dell’ Art. 2082 Codice Civile ed ha, pertanto, l’obbligo di iscrizione alla camera di commercio, di apertura della partita IVA e i conseguenti obblighi previdenziali e fiscali.
Un’altra possibile interpretazione dell’attività di mining è quella di equipararla ad un concorso a premi. In cui un node tramite la sua potenza di calcolo, nel caso in cui riesca a risolvere il problema prima degli altri, vince la ricompensa. Questa diventerebbe il ricavo della sua attività.
Stacking, Farming e Yield
Al momento non esiste nessuna normativa dalla quale attingere per quanto riguarda la tassazione dell’attività di Staking, Farming o Yield.
Comunque sia, il consiglio è sempre quello di tenere traccia di tutte le operazioni effettuate in modo da essere pronti quando in futuro arriverà una normativa a regolare anche questi aspetti.
Seguendo il criterio che sostiene l’incompatibilità delle criptovalute con le norme attuali, il trattamento cambia in base a se si parla di operazioni in CeFi o in DeFi.
Nel primo caso, CeFi, si ha un deposito effettivo dei token. Le rewards potrebbero quindi essere equiparati ad interessi per rendite finanziarie. Le quali sono tassate tramite imposta sostitutiva del 26%.
Nel secondo caso, DeFi, non c’è nessun deposito e le rewards sono premi ottenuti. Questi ricavi non verrebbero quindi tassati.
Trading e Investimenti
Seguendo quanto riportato negli interpelli all’Agenzia delle Entrate, gli eventuali guadagni provenienti da operazioni di investimento o trading in criptovalute sono da ritenersi tassabili se la giacenza complessiva dell’individuo supera, durante l’esercizio in esame, la soglia di € 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui. Negli interpelli è anche specificato che le minusvalenze riportate durante l’anno sono detraibili nel caso in cui il limite di giacenza venga superato.
Stando al secondo criterio d’interpretazione, invece, questa soglia non è applicabile. Perciò, non essendo previsto un limite, ogni guadagno scaturito da operazioni di investimento o trading in criptovalute risulta tassabile. Inoltre, seguendo questo metodo le minusvalenze non sarebbero detraibili.
In ogni caso, è sempre obbligatorio per l’individuo dichiarare i suoi possedimenti in criptovalute, in quanto l’obbligo di monitoraggio fiscale difatti è legato alla semplice potenzialità dell’investimento. È sufficiente quindi che l’investimento sia suscettibile di produrre reddito imponibile in Italia. Che lo produca o meno, e tale fattore non lo si può escludere, è indifferente e di conseguenza l’obbligo sussiste a priori.
Airdrop
Negli interpelli all’Agenzia delle Entrate viene dichiarato che nel caso di criptovalute ricevute a “titolo gratuito”, il costo iniziale da considerare è quello sostenuto dal donante. Le somme ricevute andranno comunque a concorrere all’accrescimento della giacenza. Perciò in caso di giacenza superiore a euro 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi si dovrà pagare l’imposta sostitutiva in caso di cessione a titolo oneroso. Questo vale anche per le forme di cashback.
Pagamenti ricevuti ed effettuati tramite criptovalute
Seguendo la logica seguita dall’Agenzia delle Entrate, le criptovalute ricevute come mezzo di pagamento andranno comunque a concorrere alla giacenza dell’individuo, il quale, nel caso se ne alienasse, sarebbe soggetto all’imposta sostitutiva del 26% in caso di un guadagno. Nel caso di pagamenti effettuati, sempre secondo questo metodo, la cessione è considerata come una conversione in euro. Anche qui, se l’individuo dovesse essere sopra la soglia limite vedrebbe aumentare il suo imponibile in caso di plusvalenza derivante dalla cessione.
Stando al secondo criterio d’interpretazione, quando si ricevono criptovalute come mezzo di pagamento è perché si sta offrendo un bene o un servizio, e occorre quindi emettere una fattura con il controvalore in euro. Questo determinerà il prezzo di acquisto delle criptovalute ricevute. Quando si tratta di pagamenti effettuati è come se si effettuasse un prelievo, si ha quindi un incremento di ricchezza tassabile come ogni altro guadagno.
NFT – Non Fungible Token
Stabilire come gli NFT debbano essere trattati fiscalmente risulta quantomeno complicato con gli attuali strumenti forniti dal legislatore. La tassazione degli NFT è un altro argomento attorno al quale c’è molta poca chiarezza. Di seguito riportiamo due metodologie per suddividere le operazione fatte con gli NFT.
- Il primo metodo consiste nel suddividere i diversi trattamenti a seconda di come vengono considerati i Non Fungible Token:
- Come opere d’arte
Gli artisti che traggono sostentamento dal commercio delle loro opere sotto forma di NFT avrebbero l’obbligo di assoggettarne la vendita allo specifico regime IVA riferito al commercio di opere d’arte: perciò l’aliquota ordinaria del 22%. Si potrebbe applicare l’aliquota agevolata del 10% quando l’opera presenta caratteri di fisicità materiale, che non è detto si possa rinvenire in un NFT. - Come criptovalute
Si può anche pensare di trattare le opere contenute in un NFT come delle valute virtuali. In questo caso, anche nell’esercizio di un’attività economica, l’IVA a stretta regola non dovrebbe essere applicata, in quanto si ricade nel campo di esenzione previsto dalla direttiva UE 2006/112 sull’IVA. - Come token
Seguendo questa logica occorre comprendere se l’NFT si comporti come un security token o come un utility token. In questo ultimo caso parrebbe che la loro cessione, nell’esercizio di un’attività economica, sia soggetta ad IVA.
- Come opere d’arte
- Il secondo metodo invece prevede di suddividere le operazioni effettuate tramite NFT in base all’utilizzo che se ne fa:
- Compravendita continua
Nel caso di un individuo che continuamente acquista e rivende NFT questo sarà obbligato ad aprire partita IVA in quanto attività commerciale. L’individuo che sta comprando e vendendo beni univoci con costanza, stabilità, professionalità e organizzazione sta in sostanza realizzando un commercio online di beni digitali. Allo stesso modo l’individuo che crea e vende NFT sta portando avanti un’attività commerciale.
I ricavi provenienti da queste attività andranno a formare il reddito d’impresa, soggetto a IRPEF e INPS. - Compravendita occasionale
L’attività di un individuo che effettua occasionalmente compravendita di NFT è da intendersi come un’attività commerciale occasionale i quali proventi sono da dichiarare nel quadro RL della dichiarazione dei redditi e tassati secondo l’aliquota marginale (scaglioni IRPEF). - Collezionismo
Se un individuo ha acquistato uno o più NFT con il fine di collezionismo al momento della loro cessione si applica la normativa sulle opere d’arte. L’attività dell’individuo viene considerata con fine di diletto e non c’è nessuna imposizione fiscale.
- Compravendita continua
Correlazione tra NFT e criptovalute
Seguendo la logica applicata negli interpelli dell’Agenzia delle Entrate, quando si acquistano NFT dal lato delle criptovalute detenute dall’individuo si sta svolgendo un prelievo. Questo a seconda della sua situazione (i.e. giacenza) può comportare ulteriori obblighi fiscali.
Infatti, se nel momento dell’acquisto l’individuo ha superato il limite di giacenza, dovrà dichiarare l’eventuale plusvalenza (minusvalenza), e su questa andrà poi a pagare l’imposta sostitutiva del 26%.
Seguendo il secondo criterio d’interpretazione, come già riportato, questo limite della giacenza non è da considerare. Perciò ogni prelievo che viene effettuato concorre ad aumentare l’imponibile.
Cosa non viene tassato?
Acquistare criptovalute
Acquistare criptovalute non rende di per sé soggetti a imposizione fiscale. Rimane comunque l’obbligo di monitoraggio da adempiere tramite la dichiarazione dei redditi annuali. Inoltre, è sempre consigliato tenere traccia, anche tramite delle prove documentate, dei movimenti che sono stati eseguiti per l’acquisto di criptovalute.
Possedere criptovalute
Il possesso di criptovalute, se oltre l’acquisto di queste non vengono fatte altre operazioni, non comporta nessun obbligo fiscale. Tuttavia, spetta all’individuo il compito di soddisfare l’obbligo di monitoraggio tramite la presentazione dell’annuale dichiarazione dei redditi. Inoltre, è sempre consigliato tenere traccia, anche tramite delle prove documentate, dei movimenti che sono stati eseguiti per l’acquisto di criptovalute.
IVAFE
Tramite un interpello l’Agenzia delle Entrate precisa che le valute virtuali non sono soggette all’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria”.
Mettere in regola le proprie criptovalute non è per niente semplice
Dopo aver letto questa guida avrai sicuramente capito che la regolamentazione delle criptovalute in Italia è tutt’altro che semplice.
Non essendoci una normativa ben definita risulta difficile anche solo interpretare quel poco materiale che viene rilasciato dall’Agenzia delle Entrate. Non fare nulla potrebbe farti incorrere in sanzioni amministrative in caso di controlli, le quali come hai visto possono arrivare fino al 30% del tuo capitale.
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