Fiscalità
02/09/2024
La tassazione delle crypto fino al 2022, cioè la regolamentazione fiscale in Italia, era piuttosto oscura e poco chiara. Principalmente costituita da interpelli dell'Agenzia delle Entrate, sentenze e da una serie di interpretazioni di addetti ai lavori, questo insieme di regole risultava complesso e spesso incerto per gli investitori e i possessori di cripto-attività. Tali norme hanno ancora una rilevanza molto importante: infatti, chi vuole regolarizzare le proprie posizioni fiscali in crypto degli anni antecedenti al 2023 dovrà ancora conoscerle e seguirle! Per questo è importante sapere quali sono e come funzionano.
In questo articolo, dunque, vedremo come venivano tassate le criptovalute in Italia prima dell'entrata in vigore delle nuove normative nel 2023 (c.d. "Legge Crypto", vale a dire i comma 126 e ss dell'art. 1 l. 197/2022), approfondendo aspetti rilevanti quali la dichiarazione delle attività nel quadro RW, la tassazione delle plusvalenze, il trattamento fiscale di casi specifici benché molto comuni come staking, airdrop e mining. Infine, vedremo brevemente quali sono le sanzioni previste per la mancata ottemperanza di queste regole e come potersi mettere in regola per rispettarle ed evitare rischi inutili.
Come dicevamo, fino al 2022, le criptovalute in Italia non avevano una regolamentazione fiscale specifica definita da leggi ad hoc. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate, attraverso diverse circolari e risposte ad interpelli, aveva stabilito delle linee guida che indicavano come queste attività dovessero essere trattate dal punto di vista fiscale.
Le criptovalute erano generalmente considerate alla stregua di valute estere ai fini fiscali, il che significava che le norme applicabili alle valute estere erano spesso estese anche alle criptovalute. Questo approccio era confermato da diverse sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE), tra cui una che si esprimeva in merito all'applicabilità dell'IVA.
Una delle principali obbligazioni per i contribuenti italiani era la dichiarazione delle criptovalute nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Questo quadro è destinato alla dichiarazione di attività finanziarie e investimenti detenuti all’estero, inclusi conti correnti e criptovalute. La sua funzione è essenzialmente di "monitoraggio fiscale".
Per le valute estere in generale vigeva l'obbligo, ribadito dall'Agenzia delle Entrate, di riportarle nel quadro RW; tale obbligo era valido se il valore complessivo di tali valute estere possedute superava i 15'000€ in un qualsiasi momento dell'anno.
Ora, secondo alcuni questa norma andava applicata anche alle criptovalute, per via dell'analogia con le valute estere sopra menzionata. Secondo altri, invece, la soglia minima da superare affinché scattasse l'obbligo era più bassa, pari a 5'000€ come per i conti esteri. Secondo un altro orientamento ancora, più prudente, non vi erano soglie minime: qualunque cifra andava indicata. Infine, taluni - pochi, a dire il vero - sostenevano la non applicabilità delle norme sulle valute estere alle criptovalute, che, dunque, non erano oggetto di monitoraggio fiscale.
Noi del team di CryptoBooks suggeriamo a chiunque di indicare sempre nel quadro RW, anche per gli anni antecedenti il 2023, le criptovalute detenute; in altre parole, sposiamo l'interpretazione che vede l'obbligo di monitoraggio fiscale applicarsi a prescindere da qualunque soglia; le crypto anche prima del 2023 andavano sempre e comunque dichiarate nel quadro RW - esattamente come avviene dopo nel regime che si applica dal 2023.
Perché questa scelta? Innanzitutto per motivi "esegetici" di interpretazione delle varie norme e interpelli e della legge in generale. In secondo luogo, bisogna ricordare che la semplice indicazione delle somme detenute sotto forma di criptovalute, all'interno del quadro RW, non comportava fino al 2022 alcun obbligo impositivo. A differenza che per le valute estere, dunque, non andava versata alcuna imposta "patrimoniale" quale l'IVAFE.
Le plusvalenze realizzate con la compravendita di criptovalute erano soggette a imposizione in Italia solo ad una condizione: che il controvalore in € di tutte le criptovalute detenute durante l'anno superasse una soglia annuale di 51.645,69€ per almeno sette giorni lavorativi consecutivi. Questo valore derivava dalla legislazione sulle valute estere e applicato anche alle criptovalute.
Te la spiego in altre parole: se nel corso del 2022 hai detenuto un ammontare di criptovalute, contando tutti i tuoi wallet e tutte le tue piattaforme, complessivamente superiore a 51'645,69€, per almeno 7 giorni (lavorativi) di fila, allora sei tenuto a pagare le eventuali plusvalenze che hai realizzato nel corso di quell'anno. Ovviamente, puoi anche far valere eventuali minusvalenze.
Se questa soglia veniva superata, le plusvalenze erano tassate con un’aliquota del 26%, che si applicava alla differenza tra il valore di vendita e il valore di acquisto delle criptovalute. Per il calcolo del prezzo di acquisto si utilizzava, come nel regime attuale, il metodo LIFO.
Andiamo adesso ad esaminare come erano tassati fino al 2022 (vecchio regime fiscale delle criptovalute) alcuni casi specifici che riguardano le criptovalute, molto comuni tra chi le utilizza.
Staking: lo staking, ossia il processo di partecipazione a una blockchain proof-of-stake per validare transazioni in cambio di ricompense. In questa categoria rientrano anche tutti quei casi chiamati "staking" ma che più correttamente dovrebbero denominarsi "earning". Lo staking fino al 2022 era trattato in modo ambiguo. La regola è che i rewards da staking entrassero nella disponibilità del contribuente "a prezzo 0" ed erano considerati una rendita vera e propria, tassabile dunque "immediatamente" (vale a dire con la prima dichiarazione utile successiva). In quanto rendite, dovevano essere incluse nel quadro RL della propria dichiarazione, modello Persone Fisiche.
Airdrop: gli airdrop, che sono distribuzioni gratuite di criptovalute, erano soggetti a tassazione in base al valore di mercato della criptovaluta ricevuta al momento della distribuzione. Come per lo staking, queste ricompense erano considerate redditi diversi da inserire nel quadro RL. Seguivano di fatto la stessa normativa: il token ottenuto mediante airdrop andava tassato immediatamente al valore di mercato del momento in cui veniva ottenuto.
Mining: sul mining diverse pronunce hanno provveduto a creare più confusione che altro. Sappiamo per certo che veniva trattato come attività d'impresa. In quanto tale, i redditi erano inquadrabili tra quelli da lavoro autonomo oppure d'impresa. Inoltre, varie sentenze ed interpelli aggiunsero dettagli al quadro generale: l'IVA non andava applicata; i costi di esercizio erano deducibili; il compenso per il mining era un reddito soggetto a IRPEF, oppure a IRES nel caso di esercizio da parte di soggetto giuridico; il regime giuridico poteva cambiare a seconda dell'entità dell'attività di mining. Oltre a queste frammentarie informazioni, tuttavia, mancava un quadro completo e chiaro, situazione tra l'altro protrattasi anche dopo l'entrata in vigore della Legge di Bilancio 2023 ed il nuovo regime fiscale.
La mancata dichiarazione delle criptovalute nel quadro RW per gli anni antecedenti al 2023 poteva comportare sanzioni significative. Le sanzioni variavano dal 3% al 15% del valore non dichiarato, ma potevano aumentare fino al 30% se le attività erano detenute in paesi considerati paradisi fiscali - quest'utimo punto, a dire il vero, era dibattuto.
Per il mancato versamento delle imposte indicate nel quadro RT le sanzioni poi erano ancora più salate, seguendo il "regime sanzionatorio" ordinario: il 30% di quanto non versato era la sanzione di base.
A queste sanzioni si devono ulteriormente considerare gli interessi moratori, che maturano di giorno in giorno.
Come noto, tuttavia, per chi vuole regolarizzare le posizioni pregresse in criptovaluta - per gli anni antecedenti al 2023 - esistono degli strumenti che permettono di ridurre in maniera significativa le sanzioni previste "di base". Nello specifico, l'istituto del ravvedimento operoso, che prevede scaglioni di riduzione a seconda del tempo intercorso tra il pagamento (o la dichiarazione) dovuto e la scadenza originale.
Un aspetto importante da considerare nel regime vigente fino al 2022 era la possibilità di compensare le minusvalenze (perdite) realizzate con la vendita di criptovalute con le plusvalenze. Questo meccanismo permetteva di ridurre l'imposta complessiva dovuta. Le minusvalenze potevano essere compensate con le plusvalenze nello stesso anno o riportate nei quattro anni successivi.
La cosa più interessante è che plusvalenze e minusvalenze fino al 2022 potevano essere compensate rispettivamente con minusvalenze e plusvalenze della medesima categoria di asset finanziari cui erano tipizzate, cioè le valute estere. Ciò significa che fino al 2022 eventuali perdite in criptovaluta potevano compensare i guadagni realizzati nel Forex (cioè con le valute estere), e viceversa. Ovviamente, con l'introduzione della categoria delle cripto-attività nel 2023 questa possibilità è venuta meno a partire da tale anno.
Sia prima che dopo l'avvento del nuovo regime fiscale, è sempre e comunque essenziale mantenere una documentazione dettagliata di tutte le transazioni effettuate con criptovalute. Questo include acquisti, vendite, airdrop, transazioni di staking e di mining. Questo deve includere altresì il valore delle criptovalute al momento della transazione e ogni eventuale costo associato, come le commissioni di trading o, nel caso del mining ad esempio, il costo dei macchinari.
La mancanza di documentazione adeguata poteva complicare il calcolo delle plusvalenze e minusvalenze e portare a problemi in caso di controlli fiscali.
Sono stati numerosi, infatti, gli accertamenti fiscali, i procedimenti giudiziari e le sentenze. Ancora oggi è possibile essere soggetti ad accertamenti fiscali per gli anni antecedenti al 2023 e, dunque, è fondamentale possedere questa documentazione.
La cosa più importante da fare è regolarizzare le proprie posizioni, eventualmente con una dichiarazione integrativa di quella effettuata in passato, per ogni anno in cui non si sono dichiarate le proprie criptovalute. Questa operazione può comportare delle sanzioni, ma con il ravvedimento operoso se ne può ridurre notevolmente l'ammontare.
Questo vale sia per le mancate dichiarazioni del quadro RW, che del quadro RT. Per il quadro RW, soprattutto, ricordiamo che non ci sono imposte legate alla mera dichiarazione. In altre parole: il semplice "dichiarare" non comporta alcuna tassa da pagare! Sarebbe, dunque, sciocco non farlo.
Il modo migliore per dichiarare le criptovalute per gli anni fino al 2022 è quello di affidarsi ai report di CryptoBooks: una soluzione che ti permette di non rischiare nulla e di essere sicuro al 100% di ciò che dichiari. Puoi provare CryptoBooks gratis per 7 giorni: un'occasione irripetibile per dormire sonni tranquilli con il Fisco!
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